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La migliore offerta... O no?

Di Matteo @ 05/01/2013 - in Recensioni - Commenti (0)

 

Dopo essersi smarrito per le strade di Baarìa, Giuseppe Tornatore torna sul grande schermo con un thriller piccolo e intimo.

Protagonista è Virgil Oldman (Geoffrey Rush), battitore d’aste il cui unico amore è l’Arte. I toni freddi della fotografia, uniti alla nettezza dello sguardo registico, sottolineano l’eleganza rigorosa che scandisce ogni singolo aspetto della sua vita. Virgil, però, dovrà presto fare i conti con la misteriosa Claire (Sylvia Hoeks), inquilina di una villa che, tra cancelli cigolanti e mura fatiscenti, non fa nulla per celare il suo aspetto spettrale, da romanzo gotico.

E Claire sembra proprio uno spettro, perché, per molti minuti, ne udiamo solo la voce. Così, tra i tentativi di scoprire il volto di Claire e la caccia, condotta insieme al giovane amico Robert (Jim Sturgess), a meccanismi e ingranaggi dallo scopo segreto, Virgil sarà costretto ad abbandonare il suo aplomb per vivere il mistero di un amore i cui contorni sono difficili da afferrare.

Con La migliore offerta, Tornatore consegna allo spettatore un thriller romantico che, dopo un inizio ottimo per narrazione e regia, tende a dilatarsi oltre il necessario. Ed è proprio il lato romantico a frenare il ritmo dell’insieme. Tornatore sembra anch’egli incapace di definire i confini del rapporto amoroso che vuole rappresentare, riversando sullo schermo scene e dialoghi superflui (quando non addirittura maldestri, consegnando così agli spettatori più attenti la chiave di volta del film).

La migliore offerta è un film capace di offrire spunti interessanti sull’arte, sui rapporti amorosi e sul rapporto tra realtà e finzione, certo. Ma se Tornatore, in questo senso, conferma la sua piena, spiccata autorialità, al contrario rivela, ancora una volta, sgradevoli pecche nella gestione dei ritmi narrativi, indugiando troppo in aspetti che disperdono la forza dei momenti più riusciti.

Manca quel giro di vite capace di imprimere una compattezza definitiva, ed è questa assenza che infligge all’ultima opera di Tornatore un’amara sufficienza.


 

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