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The Tree of Life - Radici profonde, fragili chiome
Di Matteo @ 23/05/2011 - in Recensioni - Commenti (1)
Bello, a tratti bellissimo. Non deve essere stato difficile, per molti, attribuire lo status di capolavoro all'ultima fatica di Terrence Malick. Protagonista dell'esile trama è Jack (Hunter McCracken/Sean Penn), un ragazzino diviso tra la dura educazione del padre (Brad Pitt) e l'amore lieve e grazioso della madre (Jessica Chastain).
Un'opera senza dubbio ricchissima per tematiche e immagini, sovrastata dalla verticalità di alberi, scalinate e grattacieli di vetro, gli uni contorti e armoniosi, gli altri fin troppo squadrati.
E poi, giochi di superfici riflesse, finestre che invece di aprirsi su nuovi orizzonti rimangono chiuse a separare, con i loro vetri, la natura e la grazia, epicentro dualistico del film di Malick.
Se nel film, a livello visivo, sono soprattutto le chiome a svettare, a stagliarsi verso il cielo, Malick sembra capire che, per afferrare qualcosa di questo mondo, è essenziale cominciare a scavare dalle radici, a rischio di perdersi nei meravigliosi meandri del Big Bang e nella storia dell'Universo intero, cogliendo il Bene e il Male come due facce di una stessa medaglia che sembrano scaturire e diversificarsi nell'atto della scoperta del mondo ("è un esperimento", dice un bambino dopo aver fatto saltare in aria una ranocchia).
Perché esiste il Male? Perché tu, Dio, permetti che accadano cose brutte? Perché non posso essere cattivo anch'io come lo sei tu? Malick le risposte, per sé, le ha trovate e le mette in scena avvalendosi di una fotografia strepitosa e di un uso magistrale della macchina da presa. Cogliere queste risposte, per lo spettatore, può essere più o meno semplice. Ci si può fermare alla superficie o tentare di penetrare nei simbolismi più personali del regista, o anche solo lasciarsi ammaliare dal potente lirismo delle sequenze extraplanetarie (che ricordano, senza eguagliarle, le scene di 2001: Odissea nello Spazio).
La visione richiede pazienza. Lo stesso Malick sembra perdersi in diversi finali, come se cercasse, con difficoltà, di riunire gli infiniti spunti di cui si nutre la sua opera, o come se avesse timore di rivelare la sua risposta al mondo.
Molti hanno parlato di capolavoro. Le premesse c'erano tutte, in effetti. Grandi ambizioni, temi colossali: il Bene, il Male, la Bibbia, l'Uomo, Dio, la Religione, maschile e femminile, Natura, Grazia.
Noi, su questo blog, non ci accontentiamo però di grandiose dichiarazioni d'intenti per decretare la grandezza o meno di un'opera. Sarebbe fin troppo semplice. A Malick riconosciamo la patente di Maestro, riconosciamo la capacità di osare e di aver colto la potenza del mezzo filmico nella sua commistione di immagini, parole e suoni, capace di suscitare riflessioni e interrogativi.
Ma, a dispetto di questo, The Tree of Life troppo spesso rimane un film distaccato, ostico. Malick getta i semi e l'albero del suo film cresce rigoglioso: resta il rammarico per una chioma ideale che avrebbe potuto essere ben più folta e viva.
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Di mik il 23/05/2011 @ 12:25:45