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La regola del silenzio - Se Redford è senza fiato

Di Matteo @ 28/12/2012 - in Recensioni - Commenti (0)

 

L’ultima opera di Robert Redford narra le vicende di un ex-attivista che, dopo gli Anni 70, ha trascorso gli ultimi trent’anni della sua vita da latitante e sotto falsa identità. A scoprirlo e a scatenare involontariamente una caccia all’uomo nei suoi confronti, è il giovane giornalista Ben Shepard, interpretato da Shia LaBoeuf.

Forte di un cast all star (Nick Nolte, Susan Sarandon, Stanley Tucci e chi più ne ha più ne metta) La regola del silenzio è un film dove Redford cerca di narrare la forza dell’impegno civile e le sue contraddizioni. Da un lato si appoggia a quel genere che si basa sulla caccia all’uomo e che, nell’immaginario comune, evoca soprattutto film come Il fuggitivo. Dall’altro, è un film che racconta di illusioni perdute o invecchiate male, inesorabilmente scollatesi dalla realtà.

Su nessuno di questi due fronti Redford è in grado di esprimersi come vorrebbe. Dovessimo indicare il personaggio che più rappresenta il film, la nostra scelta cadrebbe proprio sul giornalista Ben Shepard. È un personaggio attivo, che si impegna, che vuole scavare in quello che potrebbe essere lo scoop della sua vita.

Ma, come più volte gli viene rimproverato, in realtà non ha la minima idea di dove andare a parare.
Ecco, lo stesso si può dire de La regola del silenzio che, al contrario di Shepard, nemmeno alla fine riuscirà a scoprire il suo vero cuore narrativo, una spinta motrice abbastanza forte da sorreggere due ore di film.

La narrazione sembra rivolgersi soprattutto a coloro che quel periodo di contestazioni l’hanno vissuto e racconta il conflitto tra chi ha saputo lasciarsi il passato alle spalle e chi invece non è stato in grado di cambiare. Un conflitto che, però, lascia il tempo che trova. Troppo spesso, infatti, la fuga di Redford si impantana in dialoghi sorretti malamente da chiacchiere di anziani (in particolare Julie Christie) che sono in grado solo di rivangare le idee di un tempo ormai passato, senza avere alcuna influenza sul mondo presente.

La scelta di rifarsi ai canoni del film di genere sopra citati, inoltre, non aiuta Redford e lo sceneggiatore Lem Dobb, schiacciati dal corpus di cliché e meccanismi narrativi che i due non riescono a rielaborare.

In un film che, per certi versi, è anche la storia di alcuni anziani che non hanno capito di essere invecchiati, appare beffarda la sequenza che immortala il Redford attore fare jogging con disinvoltura.

Perché a fine corsa, purtroppo, è il Redford regista a ritrovarsi col fiato corto.


 

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