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Nebraska, tutti i colori dell'on the road
Di Matteo @ 23/01/2014 - in Recensioni - Commenti (0)
Che cos’è l’America? L’America è un vecchio derelitto e alcolizzato che si trascina per le stesse strade da cui è sorta, è una vana corsa verso orizzonti già esplorati sorretta dalla senile illusione di trovarvi, ancora e dopo tanti anni, un milione di dollari.
L’America è il Nebraska dell’ultimo, omonimo film di Alexander Payne, fotografato da Phedon Papamichael in un bianco e nero capace di narrare la crisi dei nostri giorni e di evocare al contempo la Grande Depressione, con un parallelismo in apparenza banale, ma mai didascalico.
Ma Nebraska come mette in scena tutto questo? Con la più classica storia di padri e figli, dove gli ultimi si accorgono solo alla fine di non aver mai conosciuto davvero i primi. La performance di Bruce Dern, nei panni dell’anziano Woody Grant, è fatta di sguardi che, lungi dal perdersi nel vuoto, si astraggono dal presente per fissarsi su orizzonti che, per noi come per il figlio David, è possibile osservare solo dopo aver ripercorso le strade perdute del passato.
Nel film di Payne gli anziani sono infatti i veri protagonisti. Dalla moglie di Woody, cattolica e sboccata, ai parenti, vecchi amici/nemici, antiche fiamme, che popolano le strade (e le tombe) della fittizia Hawthorne, cittadina americana di provincia, autentica quanto classica, incline ad accogliere chi torna dopo tanti anni, ma gretta e avida appena se ne presenta l’occasione.
D’altro canto, la nuova generazione di Hawthorne trova i suoi ambasciatori nei cugini di David, rozzi, obesi e ignoranti che, al pari dei loro padri, misurano il valore di un uomo solo sulla distanza che è capace di divorare in ventiquattro ore, perfetti pronipoti della sfrenate corse all’oro ottocentesche, ma ormai senza senso, quale che sia il punto cardinale di riferimento.
Nebraska è un film riuscito perché non tradisce il cuore dell'on the road, dove gli sterminati spazi del mondo non fanno altro che amplificare le vibrazioni nascoste dell'animo. Ma Payne non si accontenta, e ci aggiunge del suo. Grazie agli strumenti della commedia intima e amara, illuminata spesso da sorrisi malinconici, quasi in tonalità di grigio, tratteggia con pochi tratti numerosi personaggi, tutti riusciti. E il film diventa grande.
Quasi grandissimo.
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